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di Tiziana Checchi

Per le famiglie baronali romane il connaturale rapporto con l’antico scaturiva dai luoghi stessi scelti come sede delle loro dimore urbane, molto spesso edificate sfruttando i resti di antichi edifici. Come noto, gli Orsini si insediarono nel Mausoleo di Augusto, nel teatro di Marcello, nel palazzo presso Campo de’ Fiori costruito sulle rovine del Teatro di Pompeo e in quello “all’Orologio” a piazza Navona. Oltre a questi luoghi, i diversi rami del casato occuparono anche il palazzo/fortezza di Monte Giordano, posizionato in un sito strategico presso la grande ansa del Tevere. Benché sin dal XV secolo gli Orsini si fossero dimostrati aperti alla cultura umanistica, fino alla seconda metà del Cinquecento pochissime fonti antiquarie attestano un coinvolgimento diretto dei vari membri nel collezionismo di antichi reperti. Tra lo scadere del Quattrocento e gli inizi del secolo successivo il palazzo di Monte Giordano fu sicuramente sede della collezione epigrafica del cardinale Giovanni Battista Orsini, appartenente al ramo di Monterotondo. La raccolta andò in larga parte dispersa alla morte del porporato (a. 1503) e non sembra annoverasse ulteriori tipologie di reperti, come statue o ritratti. Per assistere a una svolta fu necessario attendere la seconda metà del XVI secolo, quando il collezionismo antiquario divenne uno degli strumenti usati dalle antiche famiglie baronali per riaffermare la propria appartenenza ai vertici del potere sempre più appannaggio della nuova nobiltà legata al mondo della curia e al nepotismo papale.
Si distinse in questo nuovo approccio Paolo Giordano I (1541-1585) che, insignito del titolo di duca di Bracciano nel 1560, aveva anche promosso un’accorta politica dinastica imparentandosi con i Medici, grazie al matrimonio con Isabella, figlia del granduca Cosimo I.

Se episodici coinvolgimenti nella ricerca di antichi reperti risalgono già ai primi anni Sessanta del Cinquecento, nel 1582 Paolo Giordano I acquistò la notevole raccolta dei fratelli antiquari Giovanni Antonio e Vincenzo Stampa. L’inventario di vendita elenca un totale di circa 183 pezzi. Predominavano i busti-ritratti di personaggi dell’antichità, tra cui imperatori, filosofi, imperatrici, uomini e donne illustri, mentre solo un quinto della raccolta era costituito da statue a figura intera (fig. 1). Alla morte di Paolo Giordano I il nucleo più consistente della collezione era collocato a Roma, nel palazzo di Campo de’ Fiori, solo parzialmente esposto negli spazi più rappresentativi della dimora. Nella galleria, in particolare, l’allestimento esibiva chiari intenti celebrativi e la volontà di suggerire confronti tra antico e moderno, pittura e scultura. Tra le opere compariva il Marsia scorticato che, insieme a vari pezzi antiquari, venne inviato dal successore Virginio I (1572-1615) come omaggio diplomatico allo zio Francesco I de’ Medici, Granduca di Toscana. A Virginio spetta anche il trasferimento delle collezione nel palazzo di Monte Giordano, divenuta residenza principale del nuovo capo del casato. Alla sua morte nella galleria erano visibili tredici ritratti imperiali su sgabelli dipinti a grottesche con le armi Orsini e sette statue maschili e femminili, tra cui una Atena elmata, un Apollo tipo Liceo, una Igea, un Asclepio. 

Nel corso del XVII secolo questo nucleo antiquario venne ulteriormente arricchito, divenendo oggetto di ammirazione da parte di eruditi e collezionisti. Nota era la statua di Apollo Liceo dalla quale Cassiano dal Pozzo fece trarre un calco in gesso; particolarmente apprezzato fu anche un «torso di pietra egittia», che l’antiquario e Commissario per le Antichità Leonardo Agostini ricorda nel primo volume de Le gemme antiche figurate. Tra il 1655 e il 1656 il noto erudito aveva stimato la raccolta del defunto Paolo Giordano II, successore di Virginio, in larga parte allestita nella Stanza detta del Paradiso e in alcuni ambienti dell’appartamento d’Estate. Almeno dal 1657 sovrintese anche al restauro delle sculture antiche di proprietà del casato e concesse al duca Flavio (1620-1698) e al fratello Lelio (1623-1696) permessi per compiere scavi. La febbrile ricerca di antichi reperti promossa dagli Orsini non era solo determinata da interessi collezionistici, ma anche dall’uso delle opere quale merce di scambio, come testimonia la controversa vendita al cardinale Mazzarino, e per suo tramite alla regina di Francia, di «cinque bellissime statue» scoperte nel giardino presso Santa Croce in Gerusalemme, tra i resti delle antiche Terme Eleniane.

Sul finire del Seicento il declino economico determinò la progressiva perdita dei possedimenti immobili, tra i quali il palazzo presso Monte Giordano e vari feudi. Nonostante le difficoltà Lelio e Flavio operarono per preservare le raccolte d’arte, allestite all’epoca nella residenza di piazza Pasquino, divenuta sede anche di un salotto culturale grazie alla presenza della princesse Marie-Anne de la Trémoille, seconda moglie del duca Flavio, che pure vi soggiornò in modo non continuativo solo 9 anni. La collezione di Lelio contava poco più di una decina di sculture, con pezzi particolarmente pregiati, come la “Zitella”, ossia una Venere che esce dal bagno con la veste di marmo bigio, un busto di Giulia Cornelia Paula, moglie di Eliogabalo, ricordata da Bellori di «marmo candido con petto di porfido antico», ed una Tigre in marmo phrygium, evocativa del thiasos di Bacco (fig. 2). La collezione di Flavio, invece, contava un gran numero di gemme intagliate e un centinaio di sculture, tra cui lo Zeus Egioco restaurato come “Perseo”, la statua di Sileno, il gruppo di Inò e Dioniso fanciullo, l’Apollo e l’Atena. Alla morte del duca Flavio e con l’estinzione della linea primogenita degli Orsini di Bracciano la collezione subì una lenta dispersione, giungendo per via ereditaria ai Lante per essere progressivamente alienata: dalla fine del XVIII secolo divenne preda del mercato antiquario, mentre una restante parte confluì a palazzo Odescalchi, come risarcimento di un antico credito.

  • fig. 1 - Nota delle Statue Grande et Mezzane et Piccole, Archivio Orsini, I serie, 414, n. 58. (su gentile concessione dell’Archivio Storico Capitolino).
  • fig. 2 - Arte Romana, Pantera, pavonazzetto con inserti policromi, Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

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